Il consenso "omnibus" nel marketing digitale: cosa cambia, cosa fare

Con il provvedimento del 27 febbraio 2025, il Garante Privacy ha tracciato una linea netta: il consenso generico e non differenziato nel marketing digitale non è più compatibile con i principi del GDPR. In questa guida esploriamo in dettaglio cosa comporta l'abbandono del cosiddetto "consenso omnibus" e come le aziende e i DPO possono adeguarsi in modo chiaro, sostenibile e coerente con la normativa.

1. Cos'è il consenso "omnibus"

Si parla di "consenso omnibus" quando un utente, con una sola spunta o azione, autorizza simultaneamente:

  • l'invio di comunicazioni su tutti i canali (email, sms, telefono, social...);

  • la cessione dei dati a terzi, anche non specificati;

  • finalità diverse come marketing diretto, profilazione, comunicazioni promozionali.

Il Garante ha considerato questa prassi lesiva della libertà dell'interessato, in quanto non consente una scelta reale e consapevole.

2. Il provvedimento del Garante: sintesi e principi

Nel caso oggetto del provvedimento, una società del settore energia si affidava a portali e agenzie esterne per raccogliere consensi tramite moduli generici. Il Garante ha rilevato:

  • assenza di granularità (una sola spunta per molteplici trattamenti);

  • finalità accorpate senza distinzione;

  • destinatari eterogenei e non identificati;

  • mancata chiarezza sull'identità del titolare e sulle modalità di contatto.

Risultato: sanzione amministrativa e obbligo di revisione del modello.

3. I riferimenti normativi e le Linee Guida EDPB

Il provvedimento richiama:

  • GDPR, art. 4 e art. 7: condizioni per un consenso valido (libero, specifico, informato e inequivocabile);

  • Linee guida EDPB 05/2020 sul consenso: necessità di separare le finalità e offrire scelte reali;

  • Provv. Garante n. 242/2013: già chiariva la necessità di distinguere tra modalità automatizzate e tradizionali di contatto.

4. Cosa fare: passi operativi per DPO e imprese

a. Analizzare i consensi attualmente in uso

  • Verificare i moduli di raccolta: sono specifici e chiari?

  • I destinatari dei dati sono identificabili?

  • Le finalità sono separate e ben descritte?

b. Adeguare i form e le informative

  • Separare il consenso per ogni finalità (marketing, profilazione, cessione);

  • Offrire scelta tra canali di comunicazione (es. email vs. telefono);

  • Elencare chiaramente le categorie dei destinatari terzi, o i nomi.

c. Rivedere gli accordi con fornitori e partner

  • Verificare la legittimità della raccolta consensi da parte di terzi;

  • Pretendere audit o dichiarazioni di conformità;

  • Introdurre clausole contrattuali adeguate.

d. Formare il personale

  • Chi si occupa di marketing o customer care deve comprendere i nuovi limiti;

  • L'approccio deve essere collaborativo, non solo difensivo.

 

5. Precedenti utili: i casi Pampers e Bakeca

  • Pampers (2019): no a un unico consenso per più brand del gruppo (ciascuno va distinto);

  • Bakeca (2023): i destinatari possono essere molteplici, ma vanno indicati nominalmente per rendere il consenso valido.

 

6. Evitare gli estremi: la questione dell'eccesso di granularità

Il provvedimento solleva un punto critico: quanta granularità è sufficiente? Esigere decine di spunte può portare all'effetto opposto: utenti confusi o scoraggiati.

Occorre trovare un equilibrio tra trasparenza e usabilità, evitando sia il consenso generico che un eccesso di opzioni frammentate.

 

7. Modelli consigliati e buone pratiche

  • Usare layout chiari e spunte visibili, non nascoste;

  • Informative multilivello (breve + approfondimento);

  • Offrire opzioni predefinite ma modificabili;

  • Predisporre versioni specifiche per mobile;

  • Includere una sezione di gestione consensi (privacy center).

 

Conclusione: il consenso come relazione, non come obbligo

Il consenso non è solo un requisito legale, ma una forma di fiducia. Le aziende che investono in trasparenza e controllo restano competitive, affidabili, pronte al futuro.

 

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